Un libro che rivede in chiave vegana e sostenibile i piatti tipici della tradizione maltese.
Rampollo di una dinastia di industriali della carne, produttori anche dell’ormai tipica zalzett roża, dopo la laurea, Daniel Pisani abbraccia acriticamente quello che sembra il suo destino naturale e va a lavorare nell’azienda di famiglia. Presto però inizia ad avvertire un disagio profondo, che lo porta prima alla depressione e poi, in seguito a un evento di potente impatto emotivo, a una scelta tanto radicale – almeno agli occhi dei suoi – quanto inevitabile.
Daniel è autore del libro A Plant-Based Maltese Kitchen, in cui rivede in chiave vegana tutti i piatti della tradizione culinaria maltese precoloniale (quelli che vegani non sono già).
È una storia che racconto più approfonditamente nel numero 49 di Liberazioni.
I Pisani sono fra i maggiori importatori e distributori di prodotti congelati e refrigerati offerti dai supermercati maltesi. L’impresa di famiglia è il referente di ben 27 marchi, dodici sono i principali brand di carne a Malta.
Daniel oggi ha 29 anni, capelli neri, fisico asciutto e atletico, viso dai tratti mediterranei. Alle spalle però ci sono un’infanzia e un’adolescenza difficili, alle soglie dell’obesità.
Obesità nel Mediterraneo
Nel contesto mediterraneo, Malta costituisce un’eccezione per il suo rapporto col cibo: i maltesi e le maltesi sono infatti il popolo dell’Ue in cui si riscontra la più alta percentuale di obesità. E secondo uno studio della World Obesity Federation, la fetta di popolazione interessata dalla patologia è destinata entro il 2030 a salire a un terzo dei maltesi, e per la precisione al 33% delle donne e al 37% degli uomini.
E la famosa dieta mediterranea?
Daniel non ha dubbi, attribuisce questa difformità alla colonizzazione inglese che ha prima alterato i costumi alimentari dei maltesi e poi, attraverso l’imposizione della lingua, li ha esposti alla colonizzazione culturale statunitense.
A 17 anni inizia per Daniel una fase di cure dimagranti consistenti in petti di pollo e uova, in seguito alle quali comincia a stare meglio con sé stesso, ma non abbastanza. Ottenuta la laurea in Informatica, va dritto a lavorare nella società di famiglia.
L’inizio di un percorso vegano da parte di due persone amiche gli apre le porte di un mondo pieno di nuove possibili scelte, una realtà che di fatto, per cultura familiare e sociale, ignorava. Inizialmente li prende in giro, com’è per lui automatico. Poi però decide di provare lui stesso e, gradualmente, decide di eliminare i prodotti animali.
La reazione di parenti e colleghi di lavoro è prevedibile. Si creano frizioni con quella parte di famiglia coinvolta nell’azienda. Alla fine, la sua scelta viene liquidata come un periodo transitorio, una specie di onda lunga dell’adolescenza che prima o poi svanirà facendogli ritrovare il buon senso. Lui però, adesso che mangia soltanto vegetale, si sente molto meglio. Inizia anche a scrivere un suo blog, Life of Marrow, in cui condivide ricette ed esperienze culinarie vegane.
Daniel non mangia più prodotti animali, ma continua a lavorare in un’azienda in cui è normale vedere le parti del corpo di un grande animale lasciare scie di sangue sul pavimento mentre vengono trascinate da un locale all’altro dello stabilimento. Ma è quello che ha sempre visto e quei cadaveri sono ancora semplice materiale da lavorare per creare il prodotto finale.
Il punto di svolta
Nel 2017 vive un’esperienza emotiva che gli rende di fatto impossibile continuare a vivere in quello stato di compromesso. È abituato a vedere pezzi surgelati di carcasse importate, è abituato a vedere il sangue dei suini che vengono invece allevati in loco. Tuttavia, un giorno, a ventiquattro anni, lo sguardo gli si posa su un enorme cassone di “rifiuti industriali”, e per la prima volta ci si sofferma.
Sono teste di maiali.
Hanno gli occhi aperti.
Sembrano guardarlo con disperazione.
«Dopo quell’incontro ho dovuto lasciare l’attività. È stato come se quella depressione, che serpeggiava già da tempo, fosse esplosa in un malessere così acuto da impedirmi di tornare al lavoro».
Omaggio alla nonna
Nel 2021 Daniel ha dato alle stampe A Plant-Based Maltese Kitchen, rivelando quello che ha scoperto in questi anni di esperienza culinaria vegetale: in moltissimi casi il sapore dei piatti a base di carne non è proprio della carne.
«La carne ha il gusto che le vuoi dare perché lo assorbe dalle spezie che ci metti». Sono quindi gli aromi a dare il sapore ai cibi, un concetto ancora oggi tutt’altro che scontato.
Il libro è nato come un omaggio a Malta, ma anche alla nonna materna, morta durante la pandemia. Daniel la descrive come una donna semplice che passava la maggior parte delle sue giornate a cucinare piatti maltesi molto essenziali. Non aveva soldi, ma era sempre felice e non si lamentava mai di nulla.
«Quando ho impresso questo cambiamento al corso della mia vita, la sua semplicità mi ha ispirato e ho capito che sarebbe stato il mio modello. Era la tipica nanna maltese che cucinava piatti molto elementari, ma tutto era fatto da zero con amore. La cucina tradizionale maltese si definisce Kċina Fqira e lei per me ne era un simbolo»._
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Un piatto antico: la soppa tal-armla