C’è una sola lingua semitica all’interno dell’Unione europea, e una sola lingua semitica scritta in caratteri latini al mondo.
Si tratta della lingua di Malta, il malti, codificato ufficialmente per la prima volta l’altro ieri, nel 1924, nella grammatica definitiva in uso ancora oggi.
Le prime attestazioni di parole e brevi frasi in maltese risalgono al 1240, come ricorda Giuseppe Brincat, ordinario di Linguistica italiana all’Università di Malta e accademico della Crusca. Si tratta quindi quasi un corrispettivo del nostro indovinello veronese, o del nostro Sao ko kelle terre. A queste prime testimonianze fanno seguito “toponimi e termini del registro domestico o d’uso quotidiano negli atti notarili o negli atti della universitas (il consiglio comunale), redatti in latino e/o in siciliano cancelleresco fino alla metà del Cinquecento”.
Il primo documento più complesso in maltese è comunque una poesia risalente agli anni attorno al 1470. “Un componimento di 16 endecasillabi, con una stanza di sei versi a rima baciata, un ritornello di quattro versi con assonanza (imperfetta) e una seconda stanza di sei versi a rima baciata”, ricorda ancora Brincat.
Nel 1934, l’inglese e il maltese divennero le lingue ufficiali del Paese, e l’italiano, fino ad allora la lingua delle élite, restò tagliato fuori.
Uno scorcio della Valletta (il-Belt) visto da Vittoriosa (Birgu), una delle Tre Città
Per secoli la lingua dell’amministrazione e della giurisprudenza maltesi era stata proprio l’italiano. Durante il dominio britannico vi si era affiancato l’inglese, ma non lo aveva mai davvero sostituito, se non per brevi fasi per effetto di un’anglicizzazione forzata da parte dell’Impero. Anche oggi il maltese legale risente molto dell’originaria influenza dell’italiano. Ne è una prova la trasposizione grafica dei nomi, che usa ancora un’ortografia italiana. Il cognome Fenech, ad esempio, è la versione onomastica del termine fenek, che vuol dire coniglio. Ma nell’uso anagrafico permane la scrittura -ch italiana contro il -k del comune maltese scritto.
Quando senti parlare maltese – in tv, sulla radio o per strada – ti sembra di ascoltare arabo. Un flusso di fonemi arabi spesso però costellato di parole italiane e ancora più spesso di parole siciliane.
Alcuni maltesi sono orgogliosi della loro lingua, simbolo di identità anche rispetto alla recentissima storia coloniale. Altri, per lo più tal-pepé (gli snob), la associano invece a un’estrazione sociale più bassa, come molti fanno con i dialetti italiani (con la differenza che il maltese è una lingua ufficiale del Paese), e la evitano, preferendole l’inglese.
L’uso del maltese è d’altra parte spesso anche una scelta politica, non a caso è la lingua in cui i politici si esprimono nelle occasioni ufficiali, e la lingua della televisione. L’inglese resta comunque la lingua dell’accademia, nonché quella dei principali quotidiani.
Però, proprio come inevitabilmente accade con i nostri dialetti, succede che anche parlando in un perfetto inglese si debba ricorrere a un’espressione maltese nel mezzo di un discorso.
“Questo lo dirò in maltese – bil-Malti – per rendere meglio l’idea.”_
Marceline Naudi, docente universitaria e attivista contro la violenza di genere, in questo brevissimo estratto di un’intervista al Times of Malta ricorre alla lingua maltese per rendere appieno il suo pensiero.
Dice: “Bisogna raccogliere prove, per poi poter – detto in maltese, e lo dirò in inglese fra un minuto – spiaccicargliele in faccia”.
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