Nel maggio 1771, una giovane di Mqabba, villaggio del sud di Malta, fuggì di casa per allontanarsi dal padre oppressivo e si recò alla Valletta dove, attraverso l’esercizio della prostituzione (tredici i clienti documentati) ebbe la possibilità di assaporare la dolcezza di un breve periodo di libertà. Il padre – offrendo 10 scudi a chiunque gli fornisse informazioni sulla figlia, la quale in quei giorni veniva regolarmente vista in giro per taverne a bere a mangiare dolci ben dopo la mezzanotte – riuscì a rintracciarla e a costringerla a sposare un uomo di Żejtun, altro villaggio del sud. I tredici clienti vennero costretti a pagare una multa che andò ad alimentare la dote della ragazza.
A monte di scelte come questa non stava certamente la mancanza di un sostegno economico maschile, bensì tante diverse possibili aspirazioni di autonomia, tutte irrealizzabili allora per donne “per bene”.
Storie come quella della ragazza di Mqabba, o come quella di Margherita Virau, prostituta che accumulò tanta ricchezza da arrivare a chiedere ai suoi clienti di pagarla in opere d’arte piuttosto che in denaro, o di Domenica Cutelli, che con un cliente guadagnava quattro volte quello che una serva guadagnava spaccandosi la schiena per un giorno intero, sono raccontate dalla studiosa Christine Muscat nel suo libro Public Women – Prostitute Entrepeneurs in Valletta, 1630-1798, edito dall’editore maltese BDL. Si tratta di uno studio che assume la prospettiva “imprenditoriale” delle donne pubbliche e della prostituzione a Malta nella neocapitale dei cavalieri tra il XVII e il XVIII secolo. “Questo non significa – sottolinea Muscat – che tutte le prostitute fossero imprenditrici o che non esistesse lo sfruttamento”. Ma nella sua ricerca la studiosa decide di concentrarsi su un aspetto che considera trascurato, scegliendo un approccio che definisca la prostituzione come un “servizio sessuale liberamente scelto, pubblico e non matrimoniale, in cambio di benefici privati”.
Le donne pubbliche studiate da Muscat si muovono sullo sfondo di quel Barocco che, nato in Italia e in Francia, si è diffuso rapidamente in tutti i Paesi cattolici della Controriforma. Sono donne dai profili tra loro molto diversi, ma accomunate da un anelito di indipendenza. Il libro intercetta la storia di queste professioniste a partire da sessantacinque anni dopo la creazione della nuova capitale, la cui edificazione iniziò nel 1565, quando, sconfitti gli ottomani al termine del grande assedio, l’ordine decise di lasciare Vittoriosa e spostarsi alla Valletta. E si conclude con l’arrivo di Napoleone, cui di fatto verrà ceduto dall’ordine il dominio dell’isola.
Un’occupazione, quella delle donne pubbliche, certamente non neutra dal punto di vista del genere, come però d’altra parte non possono essere considerate neanche le altre occupazioni che interessavano le donne dell’epoca, in un contesto di regolare sfruttamento del lavoro femminile. Le donne pubbliche – la cui definizione varia invece nel corso dei quasi 170 anni interessati dallo studio – sono donne che, oltre a possedere arte e talvolta beni di lusso, fanno anche donazioni alla Chiesa e vengono considerate degne affidatarie di bambini indigenti, sono ritenute testimoni affidabili in tribunale, sono parte integrante dell’economia della Valletta.
Public Women non è solo la storia delle donne pubbliche a Malta, ma anche la storia di Malta attraverso i documenti, legali ed ecclesiastici, che riferiscono della vita delle meretrici, termine dalla semantica a quel tempo molto ampia, usata in riferimento a tutte le donne – prostitute incluse, ma non soltanto loro – impegnate in relazioni extramatrimoniali.
Il libro è canditato al National Bookprize. _
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