Tre mesi a Malta da pedona

La politica maltese e l’ambiente, un rapporto devastante. Letteralmente.

Dopo una frequentazione continuativa di circa un anno con Malta, tre mesi fa, a fine aprile, mi ci sono trasferita in pianta stabile. “Devi prendere subito una macchina”, “La macchina è la prima cosa”, “Senza auto non concludi niente” sono stati i primi consigli delle persone a me più vicine. Qualcosa in me, non escludo possa trattarsi semplicemente di pigrizia, ha fatto finora resistenza. Non che mi dispiaccia particolarmente guidare, ma non è neanche la mia attività preferita, specie in mezzo al traffico costante che in un posto come Malta può arrivare a rubarti ore e ore di vita.

 Il suggestivo tragitto dello Sliema Ferry visto dalla fermata

Certo, c’è anche la faccenda di superare gli automatismi legati al tenere la destra e al condurre un’auto col volante a sinistra. Le volte che ho provato, se non stavo iperconcentrata, mi ritrovavo a graffiare lo sportello con la mano destra in cerca di un cambio che stava dall’altra parte. Ma davvero, il problema non è la guida sulla carreggiata sinistra. È qualcos’altro. Così mi sono ritrovata a muovermi a piedi, ad approfittare di passaggi, e soprattutto di prendere i battelli che portano dalla Valletta a Sliema e alle Tre Città. Gli autobus qualche volta si fanno aspettare un po’ troppo, ma la vera controindicazione per me è l’aria condizionata assassina stabile sul livello sinusite fin dalla primavera, oltre al traffico cui sono soggetti tanto quanto le auto, mancando corsie preferenziali per i mezzi pubblici.

Fra i problemi che affliggono l’isola c’è sicuramente la miopia dei suoi governanti che, laburisti o nazionalisti, fin dagli anni Ottanta sembrano considerare il rispetto per la natura un vezzo da rimbambiti e scelgono di misurare il benessere del proprio Paese in attività edile. L’esplosione edilizia si è manifestata per aree e, come il contagio di un’epidemia, progressivamente si è espansa più o meno dappertutto, non lasciando nessuna zona significativa di vero verde, a parte il Buskett.

 La concezione dei pedoni a Malta è magistralmente espressa dal diffuso dissesto e dall’inagibilità dei marciapiedi. Né ciclisti né pedoni: lo spazio pubblico appartiene alle auto, ph Bicycle Advocacy Group

“Non ci interessa il verde” mi ha detto qualche tempo fa un maltese di una settantina d’anni. “Stiamo finalmente avendo una bella crescita economica, lasciatecela godere”.

Ogni mia speranza è svanita. Chi sono io per dire ai maltesi come devono vivere? Eppure, dal mio trasferimento definitivo, ho incontrato sacche importanti di resistenza a questa mentalità. Non in settantenni che si godono la crescita del Pil, ma in ventenni che sanno che – quando i settantenni saranno belli e sepolti dentro la loro cassa di mogano che forse si saranno potuti permettere grazie all’indotto dell’edilizia, o del gioco d’azzardo, o del turismo scriteriato in generale – loro resteranno a respirare un’arietta cancerogena perché nessuno dei loro governanti avrà avuto il coraggio di inimicarsi la lobby dei costruttori o di imporre un numero chiuso alle auto.

Fra le assurdità dell’attuale governo, ma non posso dire che l’altra parte non farebbe lo stesso visto come si è comportata quando era al potere, c’è il progetto del tunnel sottomarino per unire Malta a Gozo. Una garanzia di contagio anche alla seconda isola che ancora sembra marginalmente resistere, e la promessa di un altissimo impatto ambientale e di una devastazione dell’habitat della fauna marina. Dei detriti relativi allo scavo il premier Muscat ha pensato di fare qualcosa di utile per un’isola tanto sovrappopolata da indurre qualche accademico a proporre l’acquisto di altre isole del Mediterraneo dall’Italia: usarli per ampliare il territorio della stessa Malta. Un’aberrazione ancora una volta degna di Dubai.

Auto ed edilizia, un ouroboros della devastazione ambientale. Il numero sempre crescente di automobili crea problemi alla viabilità, il governo provvede quindi ad appaltare la costruzione di bretelle o l’ampliamento di strade esistenti, trasformazioni che spesso snaturano comunità e piccoli centri e possono comportante l’abbattimento di qualche albero secolare sopravvissuto ad altre precedenti trovate geniali (non sono parole a caso, vedi il Central Link Project).

Un post arrabbiato, disperato, del musicista ventiduenne Michael Vella Zarb mi ha paradossalmente regalato un soffio di ottimismo: qualcuno s’incazza, quello maltese non è semplicemente un popolo che, storicamente povero, adesso si ritrova drogato dal potere dei soldi.

Sono arrabbiato con Ian Borg, si legge nel post di Vella Zarb in riferimento al ministro di Trasporti e Infrastrutture. La sua incompetenza porta alla distruzione del nostro ambiente e a mettere a repentaglio la nostra vita. Ad esempio: pericolo diretto per la mia vita, quella dei miei amici e della mia famiglia in quanto ciclisti; seguire la pista ciclabile semplicemente dipinta sulla nuova strada Tal-Balal sarebbe un suicidio. Sembra che a ogni progetto, a ogni ampliamento di strade, a ogni costruzione di una bretella soprelevata, a ogni patetica, miope, compiaciuta dichiarazione (“Ognuno vuole una macchina!”) ci si avvicina sempre di più a una Malta irreversibilmente rovinata.

Non so cosa fare.

 Il post su Facebook di Michael Vella Zarb con la foto del ministro che manda a farsi fottere alberi, ciclisti e cittadini, e quella di piste ciclabili per aspiranti suicidi

Vella Zarb denuncia gli insidiosi percorsi irti di ostacoli e pericoli che si trovano ad attraversare i ciclisti maltesi. Ma, seppur pochi, i ciclisti maltesi esistono e si organizzano. Questa è in fondo una bella notizia, poiché io, nei miei tre mesi da pedona, ho visto solo auto e auto e auto e vertiginosi autobus turistici a due piani.

I don’t know what to do, scrive nel suo post Vella Zarb.

Non lo so neanch’io, Michael. Ma la tua disperazione mi dà speranza._

 

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