Blitz, i fantasmi dei turchi e quelli dell’immaginario

Nel cuore della Valletta c’è una vecchia casa di proprietà di un’artista, Alexandra Pace. L’ha ereditata da sua nonna e molti di quelli che entrano rilevano con stupore una certa energia positiva: l’energia di una casa libera, non infestata. Lo racconta Sara Dolfi Agostini, curatrice dello spazio espositivo che quella casa è diventata una volta passata ad Alexandra, precisando che molti edifici della Valletta sono considerati contaminati da presenze negative poiché nei loro sotterranei morirono in condizioni di grande sofferenza moltissimi turchi catturati ai tempi del grande assedio di Malta da parte delle forze dell’impero ottomano, nel 1565.

  Pavimento in cementine ottimamente conservate nella stanza rosa, una volta la camera da letto della nonna di Alexandra, al secondo piano dell’edificio

Alexandra Pace (ph. credit A. Pace)

Abbandonata per oltre trent’anni, dopo un accurato restauro, nel 2013 la casa della nonna è diventata il Blitz e – a venti anni dalla creazione del primo set di emoticon da parte dall’interface designer Shigetaka Kurita – ospita oggi la mostra Face with Tears of Joy, in riferimento all’emoji che ride fino alle lacrime, associato all’acronimo lol (laugh out loud). Un’immersione nella cultura visiva contemporanea che è anche un viaggio nel territorio sempre mobile dei simboli, del costante slittamento soggetto all’influenza dei social media e delle app.

L’esposizione si articola su tre dei quattro piani dell’immobile, insieme agli uffici e a una stanza multifunzionale realizzata dagli studenti di architettura dell’Unversità ta’ Malta e col potenziale per ospitare artisti. All’ultimo piano c’è invece l’abitazione di Alexandra. La mostra si apre al piano terra con la doppia proiezione del video di Andy Holden nell’ambito della sua opera Laws of Motion in a Cartoon Landscape, in cui un avatar dell’artista illustra i principi del moto nel contesto da cartone animato. La prima delle dieci leggi affisse sulla parete dichiara ad esempio che ogni corpo sospeso in aria resterà tale, sospeso, fino a quando il personaggio non si renderà conto della situazione.

  La curatrice della mostra Sara Dolfi Agostini con l’avatar dell’artista Andy Holden

La mostra si chiude idealmente nell’ultima stanza del terzo piano, in cui su un bellissimo pavimento di tradizionali cementine è posta l’opera dell’artista e hacker Cory Arcangel, un lavoro sull’obsolescenza degli elementi dell’immaginario contemporaneo, parallela a quella della tecnologia, poiché sulla tecnologia strutturato.

In mezzo, tanti altri artisti, fra cui il congolese Maurice Mbikayi, con il suo Façade 2, una maschera di sembianze canine realizzata con scarti di vecchi computer, pezzi di tastiere raccolti per lui da bambini della sua terra. Una testimonianza dell’impatto della tecnologia sulla società africana e di quello della globalizzazione sul pianeta._

  Façade 2 di Maurice Mbikayi. La maschera è un oggetto fortemente ieratico per la tradizione e la cultura africane, creato con scarti high-tech raccolti dalle discariche da bambini. L’opera è del 2018.

  Sara e Alexandra con l’opera di Rob Pruitt Gimme a Hug (2016) – ph. A. Pace

  Sara con Smoking Kills (2015-) di Paul Sochacki – ph. A. Pace

 

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[Foto dell’autrice tranne quando diversamente indicato]

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