La condizione delle donne a Malta – intervista

Intervista a Lara Dimitrijevic

«Stiamo vivendo un tempo molto pericoloso per le donne, è in corso una vera e propria guerra, a livello politico, in America, Turchia, Ungheria, Polonia…». Lara Dimitrijevic non fa sconti al presente, in particolare alla sua Malta.

 Lara Dimitrijevic alla Valletta. Foto MaltaToday/Ray Attard

Avvocata quarantenne e ideatrice della Women’s Rights Foundation, associazione per i diritti delle donne che oggi a Malta si trova ad affrontare sfide sempre più complesse, Dimitrijevic è in prima linea contro discriminazioni e violenza di genere, e quindi anche per il diritto all’aborto, in una società fortemente patriarcale in cui interrompere una gravidanza è un reato, anche in caso di stupro, abuso in famiglia, coinvolgimento di minori, rischio di vita della madre. 

Per il suo lavoro alla fondazione, Dimitrijevic lo scorso marzo ha ottenuto dall’ambasciata Usa alla Valletta il premio Women of Courage 2019.

 Dimitrijevic riceve il premio Women of Courage 2019 da Mark A. Schapiro, Chargé d’Affaires Usa a Malta. Foto gentilmente concessa dall’Ambasciata Usa a Malta. 

Come nasce la Women’s Rights Foundation?

«Il progetto originario era quello di fornire supporto legale alle donne. Tornando all’università da studente adulta, mi sono resa conto di quello che accade nei tribunali: un forte squilibrio fra le rappresentanze legali degli uomini e quelle delle donne. Qualcosa che è ovviamente legato alle diverse risorse economiche delle parti in causa. Mi sono resa conto che la voce delle donne non era sufficientemente rappresentata: le donne non avevano accesso a una difesa valida. C’erano molte idee sbagliate sulla legge e in molte non riuscivano a sapere quali fossero realmente i loro diritti».

Vi occupate di diritti delle donne in senso molto ampio.

«Il nome della fondazione fa riferimento ai diritti delle donne ad ampio spettro, non soltanto nell’ambito del diritto di famiglia. Ci sono sempre stati casi di discriminazioni di genere presenti nella stessa legge maltese. Tutt’oggi ad esempio c’è l’obbligo, nella stesura di un atto notarile, di indicare lo stato civile di una donna, laddove per un uomo il problema non si pone affatto. Poi ci sono le discriminazioni nella pratica. Così ci occupiamo della tutela, nei processi, delle donne vittime di stalking da parte di ex partner violenti che, nonostante ordini di restrizione, non vengono trattati dalla polizia con la severità necessaria, ma anzi con la tendenza a chiudere un occhio. Un problema che sembra diffusamente sottovalutato finché non si risolve in tragedia».

Come definirebbe lo stato della battaglia per l’accesso all’aborto a Malta?

«Direi che la nostra battaglia non nasce adesso, ma almeno tre anni fa, con la richiesta di accesso alla contraccezione d’emergenza. Abbiamo ottenuto la legalizzazione della pillola del giorno dopo nel 2016, sottolineando come il mancato accesso fosse una discriminazione contro le donne di Malta. Da una protesta nata dal basso, siamo riuscite a risalire nella catena legislativa e far cambiare la legge. In sei mesi, molto intensi, la contraccezione d’emergenza è diventata legale. Ma oggi non tutte le farmacie la vendono, dato che l’associazione dei farmacisti ha fatto appello all’obiezione di coscienza. Secondo le linee guida, devono indicare la farmacia più vicina che possa fornirla. Nonostante le difficoltà, è stato un grande risultato. Ma la strada è ancora tutta in salita: non c’è alcuna forma di educazione sessuale, l’aborto è ancora inaccessibile e considerato un reato».

Effetto della forza del cattolicesimo presente nell’isola?

«Siamo ancora immersi nell’ideologia per cui una donna è una madre prima che un essere umano. Questo è espressione di pura misoginia più che del cattolicesimo di Malta: solo nel diciannovesimo secolo la Chiesa si pronunciò in maniera univoca contro l’aborto. Prima, anche nell’ambito del cattolicesimo, l’aborto era una pratica normalissima. Il limite era dato da quando si poteva iniziare a sentire i movimenti del feto».

Tornando all’aborto, quali sono i Paesi cui fate riferimento?

«Siamo uno dei cinque Paesi al mondo con divieto d’aborto totale e senza eccezioni. Uno degli altri quattro è il Vaticano. Per prossimità geografica e culturale faremmo riferimento all’Italia, che certo però non rappresenta un esempio di best practice per quanto riguarda l’applicazione della legge. Guardiamo con maggiore ispirazione all’esempio irlandese, date le analogie relative all’influenza della Chiesa cattolica e ai tempi recenti in cui sono stati ottenuti certi diritti. Guardare all’Irlanda mi dà speranza».

 Dimitrijevic al primo raduno pro-choice nella storia di Malta, lo scorso 28 settembre 

Quindi guarda con ottimismo al futuro.

«La mentalità sta cambiando, inoltre da noi il divieto d’aborto non è neanche costituzionale. A differenza dell’Irlanda, la legalizzazione dell’aborto non avrebbe neanche bisogno di un referendum, come non ne hanno avuto i diritti Lgbti di cui Malta oggi gode. È una battaglia molto dura, ma sono ottimista. Non potrebbe essere diversamente»._

 

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